“È stato uno degli eventi più significativi della mia carriera. Non ce l’aspettavamo, ma dopo lo scoppio della guerra nel 1973 pensammo che fosse un momento cruciale che poteva concludersi con un accordo di pace tra Israele e l’Egitto ed essere un pilastro per accordi con altri Paesi arabi. Per me Israele non poteva essere un Paese come gli altri, per via della mia storia familiare e dei legami che bisogna avere con un Paese democratico che si è costruito per diventare una forza formidabile. Ma ero il segretario di Stato e non era sempre facile far coincidere gli interessi di Israele e Stati Uniti”. Lo dice Henry Kissinger in un estratto di un intervento al Council on Foreign Relations per i 50 anni della guerra dello Yom Kippur pubblicato oggi sul Corriere della Sera.
“Avevo sottovalutato Sadat – ricorda l’ex Segretario di Stato degli Stati Uniti durante le presidenze di Richard Nixon e di Gerald Ford tra il 1969 e il 1977 – Lo vedevo come un personaggio dell’Aida, che faceva minacce a parole senza seguito nelle azioni. Era una percezione così cristallizzata che nel primo incontro del Washington Action Group, la valutazione fu che ad attaccare fosse stato Israele ma io sapevo che non avrebbero iniziato una guerra durante Yom Kippur. Nixon e io pensavamo che se Israele avesse lanciato un altro attacco a sorpresa come nel 1967 la reazione del mondo sarebbe stata così negativa che sarebbe stato difficile appoggiare Israele, perciò avevamo detto a Golda Meir di non fare un attacco a sorpresa anche se in retrospettiva forse fu un errore. Ma non credo ci fosse grande inclinazione in Israele, fino a due giorni prima della guerra e anche allora il governo era diviso”. “Adoravo Golda umanamente – dice ancora Kissinger – La sua generazione aveva prevalso in Palestina con pericoli a ogni miglio, voleva la pace ma le spezzava il cuore rinunciare a qualsiasi cosa conquistata. Mi invitava a cena con mia moglie, come la zia preferita; poi mi portava in cucina in modo che Nancy non sentisse e mi dava una ripassata. Come la prima volta che visitai Sadat senza una visita in Israele: pensavo di dirle tutto dopo ma fu un errore simbolico. L’idea era che la soluzione migliore fosse una vittoria israeliana gestita dalla diplomazia Usa in modo che l’Egitto giungesse alla pace, anziché continuare la guerra fino al rovesciamento di Sadat e portare un radicale al suo posto. Ma volevamo anche portare la Russia in un negoziato con l’Occidente. Sono incerto: da una parte darei il benvenuto a un accordo tra sauditi e Israele; dall’altra dovrebbe essere basato sugli interessi reciproci e il fatto che un terzo Paese paghi non ti dà molta speranza. Ma ci sto ancora pensando, non ho una posizione formale”.