(di Patrizia Antonini)
Per Nicolas Maduro si avvicina
l’ora della verità. Le elezioni di domenica in Venezuela, regno
per undici anni dell’ex autista di autobus diventato presidente,
potrebbero segnare un cambiamento epocale.
A contendere il terzo mandato al leader chavista di 62 anni –
che i sondaggi indicano come indebolito – è l’ex ambasciatore
Edmundo Gonzalez Urrutia, di 73. Un candidato poco conosciuto
nel Paese ma sostenuto dalla vincitrice delle primarie di
opposizione, Maria Corina Machado, 57 anni, estromessa dalla
competizione elettorale con una sentenza di ineleggibilità:
un’alternativa proposta dalla Piattaforma democratica unita
(Pud) che di fatto rappresenta la speranza del cambiamento.
Con le frontiere chiuse e le procedure rese pressoché
impraticabili all’estero, per quasi otto milioni di venezuelani
emigrati sarà quasi impossibile votare. Ma tra gli oltre 21
milioni chiamati alle urne si respira la voglia di invertire la
rotta, anche se unita alla paura di nuovi giri di vite
autoritari nel Paese, principale alleato di Cina, Russia e Iran
in Sudamerica.
Nonostante la comunità internazionale segua con attenzione, e
spinga perché le parti accettino i risultati elettorali, è
difficile prevedere quale sarà lo scenario all’indomani del
voto, soprattutto se il Partito socialista unito del Venezuela
(Psuv) – al potere da un quarto di secolo – si trovasse
disarcionato. Il processo sarà sorvegliato da 380mila militari e
analizzato da oltre 600 osservatori (tra cui non figurano quelli
dell’Ue, ritenuti troppo parziali da Caracas per essere
invitati).
Quello che appare chiaro però è che la pazienza nei confronti
di Maduro (già da tempo allontanato dal Mercosur) nella regione
sembra essere agli sgoccioli. Dopo le evocazioni del capo di
Stato chavista di “bagni di sangue”, di una “guerra civile
fratricida” se non vincesse e gli attacchi ai sistemi elettorali
di Brasilia e Bogotà, le missioni di osservazione dei due Paesi
sono state cancellate. Davvero troppo anche per leader
progressisti come il brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il
colombiano Gustavo Petro, che fino ad ora si erano sempre
dimostrati dialoganti. E segnali di una certa esasperazione sono
arrivati anche dal presidente cileno, Gabriel Boric, che ha
messo in guardia su una possibile nuova ondata migratoria.
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